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La fatica accompagna gli allenamenti e le gare di tutti i podisti. Quali sono i sistemi di difesa? Si può limitarne la comparsa o attenuarne i suoi effetti? Quale grado di accettazione abbiamo nei suoi confronti? Proviamo a fare un ragionamento su questi aspetti.


Argomento complesso da sviscerare quello riguardante la fatica. La sua difficile sopportazione è comune a tutti. Ciò che è difficile identificare è il suo reale livello. Si ritiene che c’è chi è più propenso a conviverci, ma non sappiamo misurarne le reali percezioni. Ricordo ancora quando il mio primo allenatore, mi faceva presente che quando insorgeva un certo livello di fatica, era come se suonasse un campanello d’allarme. Il nostro obiettivo, e in pratica un aspetto del programma d’allenamento, è di spostare “più in la” il grido di pericolo di questo campanello d’allarme. All’insorgenza della fatica avvertiamo un bisogno di interrompere il lavoro o di provocarne un brusco calo: questo non è sicuramente il punto estremo di lavoro. Il corpo per preservarsi, invia dei segnali ancor prima dei limiti reali, in realtà il grado di sopportazione è ancora ben lungi da arrivare.
La fatica è una sola, ma il modo di avvertirla è molteplice. Quella che è indotta dal lavoro lattacido ad esempio, dà segnali completamente diversi rispetto alla fatica da esaurimento del glicogeno muscolare. Conoscere e capire in maniera esatta il tipo di fatica, aiuta sicuramente l’accettazione. Lo scopo primario dell’allenamento è quello di creare un punto d’equilibrio che permette una produttiva coesistenza tra lavoro massimale o sub massimale e durata d’esercizio.
In ambito lattacido si ha un tipo di fatica che da segnali forti e violenti. Il debito d’ossigeno provoca degli scompensi, ed oltre alla difficoltà di ventilazione ci si trova spesso a dover fronteggiare forti giramenti di testa e conati di vomito.
La fatica del fondista invece segue altri iter, ha un’insorgenza più morbida, ma quando arriva è di difficile risoluzione. Allenarsi vuol dire anche saper porre delle contromisure verso questi segnali.
È a livello mentale che si gioca questa partita, e su quel tavolo che va vinta. L’allenamento fisico sposta più in avanti i limiti di ciascuno, ma è evidente che ogni atleta ha dei limiti. Può essere più bravo a convivere con la fatica, il maratoneta da 3h30’ che non quello da 2h15’.
Mi piace studiare i reali limiti d’ogni corridore, anche se è un’analisi che probabilmente da risultati non troppo vicini alla realtà. Fatti tutti i calcoli e avendo in mano i dati cronometrici e fisiologici dell’atleta si può provare a tracciare un’identità prestazionale. C’è sicuramente il podista che riesce ad avere un’alta resa in gara e in allenamento al contrario di altri che pur ottenendo grandi prestazioni tirano fuori solo parte delle loro potenzialità.
Da prendere in oggetto c’è anche il corridore che ha differenze di prestazione fra allenamento e gara. Chi in allenamento, non riuscendo ad avere grandi motivazioni, ne limita lo sviluppo, non riuscirà in gara ad ottenere il meglio di se. Il grande atleta è quello che riesce a ricreare in allenamento tutte le condizioni che trova in gara.

La competizione è semplicemente la trasposizione dei valori creati in allenamento.
Questi concetti sono espressi per affermare che il legame fra gestione della fatica e motivazione va a braccetto. È chiaro che non basta la convinzione o la determinazione per riuscire ad avere alti gradi di sopportazione della fatica, ma è il sistematico esercizio che porta gli adattamenti ricercati.
Bisogna cercare di muoversi dentro la fatica, trovare compromessi, darsi obiettivi parziali, accettare cali di ritmo, ma sempre in forma graduale, blanda.
Esprimendosi su ritmi corretti, la fatica non può incidere negativamente sulla prestazione.
Non bisogna prestargli il fianco, bisogna riconoscerla, rispettarla, ma non dobbiamo subirla.
Una sensazione quando è conosciuta diventa gestibile.
La fatica è allenabile, tanto più si lavora in quella direzione e tanto più non sarà nemica. È una compagna di viaggio con cui dobbiamo dividere il cammino. Tanto più i rapporti sono buoni, e maggiori garanzie di risultato positivo ci saranno. Il compito è quindi di conoscerla bene per attivare tutti quei meccanismi, fisiologici e psicologici, che ne contrastano la sua supremazia.
Faticare con gioia è una frase d’effetto, ma non è perseguibile, la pacifica condivisione invece è ottenibile. Proviamo a saper dividere con lei il viaggio della corsa, allenamento o gara che sia, per arrivare a fine prova consapevoli di aver espresso tutte le energie senza che l’affaticamento ci condizioni.
Correre a determinate andature o completare lunghi ed impegnativi percorsi richiedono fatica, la scelta di praticare questo sport significa che in fondo l’abbiamo già accettata come nostra compagna d’avventura.

da www.santuccirunning.it    -    richiedi ulteriori informazioni
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