La tensione che affligge il podista prima di una gara può diventare a volte distruttiva. Saper gestire questa situazione è fondamentale per non mandare in fumo la preparazione svolta. Questo può accadere anche prima di allenamenti che il corridore teme. Valutiamo alcune possibili soluzioni al problema.
Questo antico stratagemma apre dei concetti di vita che mi paiono straordinari. Spesso nella nostra ansia da prestazione agonistica, mettiamo tutte le nostre paure che sono quelle di non raggiungere l’obiettivo prefissato. Il peso psicologico della preparazione pare c’imponga un successo obbligatorio. Questo meccanismo inibisce la qualità del risultato. L’ansia prestativa che sfocia in attivazione e performance è un aspetto utile per il corridore, ma se si traduce in persecuzione contribuisce a mandare in fumo settimane o mesi di preparazione.
Porsi troppe domande costituisce un limite alla spontaneità del gesto e ne scaturisce un ascolto troppo alto circa i piccoli momenti di difficoltà che si possono venire a presentare in gara. Bisogna filtrare i messaggi negativi, mantenere la calma e saperli gestire; ma ignorarli, o tentare di farlo, innesca un meccanismo di mantenimento e crea un circolo improduttivo dal quale è difficile uscire.
Imporsi di non pensare al fallimento della gara è già un comando subdolo per ottenere una prestazione negativa. Bisogna lasciare libera la mente di vagare dove vuole, non dobbiamo creare muri ai pensieri negativi, bensì lasciarli entrare, riconoscerli, e permettergli di defluire. Solo conoscendoli potremmo far cadere il terrore eccessivo e sicuramente capiremmo che si possono gestire. Non si possono sottovalutare, per combatterli c’è da conoscerli ed attuare serenamente un sistema che li può escludere dalla nostra mente in modo automatico ed indolore. Riconoscere il proprio modo di attivarsi verso ciò che a livello mentale è ritenuto pericoloso, rappresenta già un passo in avanti verso la risoluzione dei problemi relativi alla competizione e talvolta nei confronti di allenamenti temibili per l’alto valore di impegno che richiedono.
La vigilia della gara, l’atleta passa talvolta la notte in bianco, ma anche il giorno precedente può sentire già aumentare le tensioni. Nei casi più preoccupanti questi segnali avvengono già diversi giorni prima.
Per evitare un effetto a catena che attivi questi stati d’allarme in maniera sempre più massiccia, bisogna predisporsi con atteggiamento di accettazione. Voglio sostenere che accettare il fallimento è già una strada che porta ad una sorta di rilassamento.
Capire che una gara o un allenamento può andare male è già come avere un atteggiamento più morbido nei propri confronti. Bisogna evitare di fuggire dal rischio e dal timore di fallimento; c’è da sperimentare ed osare per crescere.
Sbagliato è sfidare cose a cui non siamo preparati, ma nell’ambito che conosciamo bisogna muoversi con disinvoltura mettendo in preventivo che può accadere di fallire un obbiettivo.
Voglio ricordare che evitare di correre una gara perché si ha paura di non ben figurare, porterà a scartare sempre più gare e cominceremo sempre più spesso a dubitare della nostra condizione di forma.
Non c’è da imporsi delle regole rigide, ma bisogna avere chiaro in mente cosa vogliamo, cosa ci stimola.
In base ai traguardi che ci siamo prefissati dovremmo operare con convinzione e con passione.
Bisogna conquistare uno stato di quiete mentale; per ottenere questo è fondamentale allenare la mente.
Il tecnico, i compagni d’allenamento, l’ambiente di lavoro, la famiglia, tutte queste cose incidono nella qualità dei risultati e nella serenità dell’atleta.
Se viene a mancare il desiderio di allenarsi, la voglia di far fatica e s’instaura il timore eccessivo per la gara, significa che dobbiamo capire dove si viene a creare il problema.
Spesso è sufficiente aprirsi agli altri per far cessare timori interiori. Confessare le proprie paure non è un segno di debolezza, ma di coraggio.
Riuscire a mostrarsi per quello che si è porta in breve a guadagnare in autostima e di riflesso in benessere e prestazioni.
Riflettendo sulla frase introduttiva, “solcare il mare all’insaputa del cielo”, notiamo che ci suggerisce di buttarci in gara senza preoccuparci di ciò che ci circonda. Bisogna vivere fino in fondo quello che stiamo facendo, il risultato sarà solo una conseguenza di quanto costruito in precedenza.
da www.santuccirunning.it - richiedi ulteriori informazioni
Solcare il mare all’insaputa del cielo
Questo antico stratagemma apre dei concetti di vita che mi paiono straordinari. Spesso nella nostra ansia da prestazione agonistica, mettiamo tutte le nostre paure che sono quelle di non raggiungere l’obiettivo prefissato. Il peso psicologico della preparazione pare c’imponga un successo obbligatorio. Questo meccanismo inibisce la qualità del risultato. L’ansia prestativa che sfocia in attivazione e performance è un aspetto utile per il corridore, ma se si traduce in persecuzione contribuisce a mandare in fumo settimane o mesi di preparazione.
Porsi troppe domande costituisce un limite alla spontaneità del gesto e ne scaturisce un ascolto troppo alto circa i piccoli momenti di difficoltà che si possono venire a presentare in gara. Bisogna filtrare i messaggi negativi, mantenere la calma e saperli gestire; ma ignorarli, o tentare di farlo, innesca un meccanismo di mantenimento e crea un circolo improduttivo dal quale è difficile uscire.
Imporsi di non pensare al fallimento della gara è già un comando subdolo per ottenere una prestazione negativa. Bisogna lasciare libera la mente di vagare dove vuole, non dobbiamo creare muri ai pensieri negativi, bensì lasciarli entrare, riconoscerli, e permettergli di defluire. Solo conoscendoli potremmo far cadere il terrore eccessivo e sicuramente capiremmo che si possono gestire. Non si possono sottovalutare, per combatterli c’è da conoscerli ed attuare serenamente un sistema che li può escludere dalla nostra mente in modo automatico ed indolore. Riconoscere il proprio modo di attivarsi verso ciò che a livello mentale è ritenuto pericoloso, rappresenta già un passo in avanti verso la risoluzione dei problemi relativi alla competizione e talvolta nei confronti di allenamenti temibili per l’alto valore di impegno che richiedono.
La vigilia della gara, l’atleta passa talvolta la notte in bianco, ma anche il giorno precedente può sentire già aumentare le tensioni. Nei casi più preoccupanti questi segnali avvengono già diversi giorni prima.
Per evitare un effetto a catena che attivi questi stati d’allarme in maniera sempre più massiccia, bisogna predisporsi con atteggiamento di accettazione. Voglio sostenere che accettare il fallimento è già una strada che porta ad una sorta di rilassamento.
Capire che una gara o un allenamento può andare male è già come avere un atteggiamento più morbido nei propri confronti. Bisogna evitare di fuggire dal rischio e dal timore di fallimento; c’è da sperimentare ed osare per crescere.
Sbagliato è sfidare cose a cui non siamo preparati, ma nell’ambito che conosciamo bisogna muoversi con disinvoltura mettendo in preventivo che può accadere di fallire un obbiettivo.
Voglio ricordare che evitare di correre una gara perché si ha paura di non ben figurare, porterà a scartare sempre più gare e cominceremo sempre più spesso a dubitare della nostra condizione di forma.
Non c’è da imporsi delle regole rigide, ma bisogna avere chiaro in mente cosa vogliamo, cosa ci stimola.
In base ai traguardi che ci siamo prefissati dovremmo operare con convinzione e con passione.
Bisogna conquistare uno stato di quiete mentale; per ottenere questo è fondamentale allenare la mente.
Il tecnico, i compagni d’allenamento, l’ambiente di lavoro, la famiglia, tutte queste cose incidono nella qualità dei risultati e nella serenità dell’atleta.
Se viene a mancare il desiderio di allenarsi, la voglia di far fatica e s’instaura il timore eccessivo per la gara, significa che dobbiamo capire dove si viene a creare il problema.
Spesso è sufficiente aprirsi agli altri per far cessare timori interiori. Confessare le proprie paure non è un segno di debolezza, ma di coraggio.
Riuscire a mostrarsi per quello che si è porta in breve a guadagnare in autostima e di riflesso in benessere e prestazioni.
Riflettendo sulla frase introduttiva, “solcare il mare all’insaputa del cielo”, notiamo che ci suggerisce di buttarci in gara senza preoccuparci di ciò che ci circonda. Bisogna vivere fino in fondo quello che stiamo facendo, il risultato sarà solo una conseguenza di quanto costruito in precedenza.
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