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L’uso del cardiofrequenzimetro nella corsa può divenire un’elemento di grande importanza e base di ottimi miglioramenti se strumento ed allenamento sono correttamente impostati


Diamo un’occhiata agli strumenti che possono aiutarci a migliorare nei nostri allenamenti.

Il cuore infatti è un muscolo e una miniera di viaggi emozionali, ma anche un perfetto indicatore delle attività fisiche. Scoprirlo significa addentrarci verso una maggior consapevolezza delle nostre qualità. Per percepirlo nel suo vivere abbiamo bisogno di semplice strumento ormai alla portata di tutti che consente di monitorare la frequenza con cui il nostro cuore batte:

È ovvia l’importanza del cuore come rilevatore dello stato istantaneo del nostro corpo: misurando il numero di battiti possiamo capire quanta fatica stiamo affrontando e soprattutto gli effetti che questo sforzo produrrà sul nostro organismo.

Il cardiofrequenzimetro nella corsa, di solito consiste in un orologio da polso, che quasi sempre incorpora altre funzioni tipiche di un orologio per lo sport, ed una fascia senza fili da indossare a contatto con la pelle intorno al torace. I display dei cardiofrequenzimetri sono di solito abbastanza grandi per dare una indicazione immediata della frequenza cardiaca istantanea nelle condizioni di utilizzo in cui si trova normalmente uno sportivo (si pensi ad un podista che deve leggere l’orologio mentre corre o ad un ciclista).

Tutti i modelli, anche i più economici, hanno la possibilità di impostare delle soglie, che l’atleta considera allenanti e il cardiofrequenzimetro emette dei segnali acustici (alcuni anche luminosi…) quando queste soglie vengono superate. Vedi tutti i modelli su Amazon

Il cardiofrequenzimetro nella corsa può essere usato in alternativa o contemporaneamente al cronometro.

I due strumenti non sono “nemici”, ma “amici” che dovrebbero cooperare. Prima di vedere gli aspetti tecnici è utile analizzare quelli “psicologici” e “personali”.

Chi dovrebbe necessariamente usare il cardiofrequenzimetro nella corsa?
a) Chi non ha una mentalità sufficientemente matematica da gestire in tempo reale i dati provenienti dal cronometro: chi fa confusione con “tempi al chilometro, tempi al giro di pista, proiezioni ecc.” troverà nel cardiofrequenzimetro un semplice alleato che gli consentirà di conoscere subito la sua reale prestazione.

b) Chi non ha una sufficiente capacità di ascoltarsi e tende a sopravvalutarsi (e quindi a partire troppo forte) o a sottovalutarsi (e quindi a partire troppo piano, ma ciò accade più raramente).

c) Chi non usa percorsi misurati con precisione.

d) Chi non usa percorsi “scorrevoli”: dire di andare a 4’30″ al km su un percorso campestre non ha nessun significato dal punto di vista del giudizio allenante.

e) Chi usa percorsi collinari: anche la pendenza rende nullo (o quasi) ogni discorso cronometrico.

Chi potrebbe non usare il cardiofrequenzimetro nella corsa?
In modo complementare all’elenco precedente, chi ha una mentalità in grado di gestire facilmente i tempi e si trova nelle seguenti condizioni di allenamento:

a) Chi ha un’ottima capacità di ascoltare il proprio corpo. Ciò è particolarmente vero per gli atleti di élite: se si considerano i primi 50 di una maratona internazionale si scoprirà che pochissimi usano il cardiofrequenzimetro.

b) Chi si allena su percorsi molto scorrevoli e misurati con precisione (pista o asfalto piano).

I meccanismi aerobici
Sono il regno del cardio; ciclismo e maratona sono le discipline dove il suo impiego è più importante perché molto preciso.

Ricordiamo solo che il cardio non considera gli aspetti energetici. Nell’analogia classica il cardio può dare il numero di giri del motore, ma non la benzina che resta nel serbatoio. Ricordiamoci del classico crollo nella maratona: se finiscono i carboidrati il corpo non è in grado di bruciare esclusivamente grassi; arrivati in riserva al trentacinquesimo chilometro c’è il crollo.

Se si verifica la frequenza cardiaca, questa non schizza a 200, anzi resta sotto soglia, ma l’atleta riesce a malapena a trascinarsi. Nell’allenamento per la maratona è cioè importante che l’atleta si alleni per arrivare alla corretta potenza lipidica a prescindere dai dati di frequenza cardiaca.

I meccanismi anaerobici
È ovvio che due atleti che hanno la stessa frequenza di soglia possono essere (e quasi sempre lo sono) completamente diversi per le caratteristiche anaerobiche e in tutte le attività fino almeno ai 10-12 km in cui il meccanismo anaerobico gioca un ruolo importante: due atleti che ottengono lo stesso risultato sull’ora non è detto che sui 3000 vadano alla stessa velocità.

Quando l’allenamento è tipicamente anaerobico (in genere quando la lunghezza totale delle prove è inferiore ai 5-6 km), i dati del cardio possono non essere significativi e quindi essere valutati, non tanto per modulare l’allenamento, quanto per studiarlo a posteriori.

Già con lunghezze dell’ordine di 10-12 km (per esempio 10×1000 o 4×3000) il cardio può aiutare moltissimo a evitare partenze troppo azzardate.

I meccanismi di potenza
Ovviamente l’allenamento con il cardio non può essere proposto a velocisti o a ottocentisti o per ripetute brevi (200-300 m) svolte da mezzofondisti.

Anche in questo caso il suo uso può essere comunque di utilità statistica.

Perché ha senso allenarsi con il cardiofrequenzimetro nella corsa
Partiamo dal considerare che il nostro cuore batte normalmente con un ritmo abbastanza costante che è quello delle attività di tutti i giorni.

Il ritmo si assesta ad un valore che dipende dalla forma fisica di ciascuno e che non va confuso con la Frequenza Cardiaca (FC) a riposo che andrebbe misurata di mattina presto, prima che la giornata con tutte le sue attività prenda il sopravvento su di noi.

La frequenza cardiaca massima invece è la massima frequenza di contrazione del cuore che un individuo può raggiungere con la massima intensità fisica.

Se è vero che tutti si preoccupano di averlo, è altresì vero che non tutti sono in grado di usare questo strumento nella maniera più corretta. Capita spesso che la regolazione delle soglie minima e massima venga fatta sulla propria frequenza basale a riposo e sulla frequenza massima: questo è il modo migliore per fare si che il cardio non serva assolutamente a nulla. Cerchiamo allora di imparare come impostarlo correttamente.

Cardiofrequenzimetro: come impostarlo
L’avvento del cardiofrequenzimetro ha segnato una svolta netta negli sport aerobici, quali ciclismo, sci di fondo, nuoto, podismo, ma trova applicazioni varie in ogni sport; se all’inizio questo strumento era un compagno prezioso solo per gli atleti professionisti, oggi tutti possono disporre di uno strumento che segnali e registri l’andamento della frequenza cardiaca.

L’esordio del cardiofrequenzimetro, almeno relativamente ad atleti italiani, può essere segnato con la preparazione del record dell’ora di Francesco Moser nel 1984, ma si trattava ancora di uno strumento rudimentale, poco raffinato, ingombrante, con i fili e molto costoso.

Oggi possiamo disporre di cardiofrequenzimetri leggeri, senza fili (predisposti con delle fasce toraciche), grandi come un normale orologio e dotati di tantissime funzioni.

Possiamo affermare che ogni ciclista, ma adesso anche quasi ogni podista, ne ha uno, ma la cosa importante è la seguente: per impostare il cardiofrequenzimetro in maniera corretta è necessario conoscere la propria soglia anaerobica, un valore determinante per poter impostare correttamente l’allenamento.

Questo valore indica la massima intensità che un individuo sufficientemente allenato è in grado di mantenere per 40/50 minuti.

Durante la pratica dell’esercizio fisico i nostri muscoli producono acido lattico che viene smaltito immediatamente dal nostro stesso organismo. Quando la produzione supera quello che viene smaltito si dice che si è superata la soglia anaerobica e le conseguenze sono una drastica diminuzione della prestazione.

È corretto che il cardio sia impostato in base alle soglie di lavoro che sono comunemente la soglia aerobica, la soglia anaerobica e il massimo consumo d’ossigeno.

Importante stabilire anche il riferimento del ritmo medio (pari a 3 millimoli di lattato per litro circa) e del ritmo maratona (2,5 mil/l circa). Tutto ciò avviene tramite test da campo o in laboratorio, ma di questo ne parleremo prossimamente.

In questo modo il cardio ci indicherà la fascia utile in cui ci possiamo e dobbiamo allenare e sarà un compagno esemplare, indicandoci sia quando andiamo troppo piano, perché quel tipo di lavoro sia utile all’allenamento, sia quando superiamo la soglia da utilizzare in quel determinato momento, cioè quando la nostra autonomia comincia a ridursi bruscamente.

Il cuore va ascoltato, ci suggerisce sempre la strada migliore.

di Massimo Santucci e dott. Matteo Orsi

da www.santuccirunning.it    -    richiedi ulteriori informazioni
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