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Ripetute di corsa in salita: regole ed analisi del movimento


di Massimo Santucci

La corsa in salita, in tutte le sue forme, è un mezzo straordinario per poter accedere a performance di livello superiore.

Secondo il tipo di proposizione si ottengono:

- condizionamenti muscolari poiché l’azione richiesta va ad interagire con i vari concetti e forme della forza;

- stimolo delle capacità cardiache che rendono l’attività delle frequenze particolarmente recettiva e “brillante”;

- sensibili miglioramenti sul versante dei consumi con annessa la concreta possibilità di un grande incremento delle soglie di lavoro;

- miglioramento sulla resistenza in ogni sua derivazione, compresa quella meccanica;

- aumento delle capacità mentali di sostenere carichi di media e grande entità.

Questi sono solamente 5 punti, per riassumere i benefici della corsa in salita con variazioni.

Visto così parrebbe un allenamento magico, ma sappiamo che la magia è figlia dell’impegno e della costanza, quindi nessuna illusione, ma volontà e perseveranza.

Le regole

Fare variazioni di ritmo in salita è sicuramente un allenamento duro e delicato nel suo svolgimento.

Correre in salita richiede uno sforzo importante, riuscire a svolgerci cambi di ritmo rende tutto più complicato.

Il risultato, come per quasi tutte le cose non agevoli, è straordinariamente efficacie.

La distanze consigliate della corsa intervallata va dai 3 ai 6 km.

Pendenze indicative, per non rimanere “impiccati”, dal 3 al 6%.

Possibilmente bisogna trovare una salita dalle pendenze continue, evitando “denti” altimetrici.

Le variazioni possono essere proposte a tempo, raddoppiando o triplicando il periodo di recupero.

Ad esempio:

– 4 km di lavoro variato alternando 1′ medio veloce a 2′ o 3′ lenti.

Solo i top runner possono permettersi di abbreviare il recupero, poiché “liberare” le gambe continuando a correre per un lasso di tempo breve in salita non è proprio una cosa semplice…

Un’altra formula è quella di dividere la distanza in frazioni ben precise, come fare, ad esempio:

– 6 km alternando 200 metri a ritmo veloce recuperando 400 metri lenti

Il cambio di ritmo quando deve essere veloce ?

Dipende da cosa cerchiamo in quella seduta. Privilegiando il coinvolgimento del sistema anaerobico lattacido, consiglio fasi veloci al ritmo del medio (avvalersi di un cardiofrequenzimetro in questo tipo di allenamento è utile) con recupero al ritmo che corrisponde per intensità a quello che sta fra il medio ed il ritmo di corsa semplice.

Utile per tali condizionamenti anche un recupero ridotto, quindi andature vicine fra veloce e lento, in pratica una forbice strettissima per stare sempre sul filo ed avere livelli lattacidi sempre importanti nella fibra.

Le sedute di variazioni in salita, che in qualche modo possono essere riproducibili in campestre o spiaggia possono essere identificate con I.T.M. ovvero Interval Training Muscolare.

Nell’ITM la forza resistente viene sollecitata insieme al meccanismo lattacido che ne fa un allenamento ideale per il mezzofondo puro e quello prolungato.

Inserendo queste sessioni nel proprio programma di allenamento, derivano ulteriori vantaggi relativi all’azione di corsa ed in quest’ottica anche il maratoneta ne trae un elevato beneficio. In questo caso le geometrie della seduta devono andare a modificarsi, ma non in maniera sostanziale.

Vediamo i motivi che ne fanno sedute “tecniche” a tutti gli effetti.

Analisi del movimento nella corsa

Nella corsa, si distinguono una fase anteriore ed una posteriore d’appoggio (arto portante), così come una fase anteriore ed una posteriore di oscillazione (arto oscillante).

Vediamo i muscoli che agiscono nella fase di arto oscillante:

Fase posteriore di oscillazione

Con la spinta dell’arto posteriore, soprattutto ad opera del muscolo tricipite surale, che supporta l’avvio dell’azione di leva dell’arto di appoggio anteriore, inizia la fase oscillatoria dell’arto posteriore stesso.

Nella fase iniziale dell’oscillazione la contrazione dei muscoli ischio crurali che contribuisce all’estensione dell’anca già iniziata durante la precedente fase di appoggio anteriore e posteriore porta, nel momento dello scarico del peso, ad una flessione a livello dell’articolazione del ginocchio. Mentre la coscia seguendo la forza di gravità, durante l’inizio della fase di slancio in avanti si muove passivamente verso la verticale, la gamba viene leggermente sollevata soprattutto dai muscoli ischio crurali per essere spinta in avanti.

Questa spinta in avanti del piede avviene contemporaneamente alla flessione dorsale dell’articolazione talocrurale (specialmente ad opera del muscolo tibiale anteriore).

Tutto questo viene ottimizzato dall’azione della corsa in salita.

Fine della fase di oscillazione

Con l’aumento della flessione della coscia (movimento della coscia dal basso in avanti), provocata dalla contrazione del muscolo retto femorale, del muscolo ileo psoas e dal muscolo tensore della fascia lata, aumenta l’allungamento dei muscoli ischio crurali.

Ne consegue che, per compensazione, più la coscia si flette sul bacino più la gamba si flette sulla coscia.

L’appoggio corretto del piede al suolo viene garantito da questo meccanismo passivo. Nella corsa variata in salita si modificano i tempi ed il tipo di appoggio a terra, rimanendo comunque l’atleta su un coinvolgimento speciale dell’avampiede.

Alla fine della fase di oscillazione avviene l’estensione della gamba, che si compie soprattutto passivamente per forza di gravità. Finita la fase oscillatoria (frenata dai muscoli ischio crurali) comincia la fase di appoggio dell’arto di sostegno o arto portante.

Muscoli che agiscono nella fase di appoggio

Con l’appoggio di tallone o pianta (in piano e su andature non elevate) inizia a contrarsi il muscolo grande gluteo.

All’inizio della fase di appoggio provvede l’estensione della coscia, funzione coadiuvata dai muscoli adduttori e dai muscoli ischio crurali.

L’avvicinamento della gamba al piede è determinato dal muscolo tibiale anteriore, la spinta della pianta del piede sul suolo è eseguita dal muscolo tricipite surale (che ha il suo primo picco di contrazione nel momento di appoggio dell’avampiede) insieme ai muscoli che stabilizzano la posizione del piede.

Alla stabilità della colonna portante dell’arto inferiore a livello dell’articolazione del ginocchio provvedono il muscolo quadricipite femorale (che ha il primo grande momento di contrazione proprio nell’appoggio dell’avampiede) ed il muscolo tensore della fascia lata, che partecipa all’estensione ed alla fissazione dell’articolazione del ginocchio attraverso il tratto ileo-tibiale.

Superata la posizione verticale, l’arto in appoggio inizia la seconda parte della fase di appoggio posteriore.

Fine della fase di appoggio

Il completamento dell’estensione dell’anca fino al distacco del piede dal suolo avviene grazie al muscolo grande gluteo ed ai muscoli ischio crurali.

Nel momento del distacco del piede dal suolo tutti i muscoli che partecipano all’estensione dell’anca, del ginocchio (muscolo quadricipite femorale) ed alla flessione plantare (muscolo tricipite surale e gli altri flessori) raggiungono il secondo e massimo picco di contrazione.

La muscolatura che determina la prestazione

Le componenti decisive della velocità nella corsa sono la lunghezza e la frequenza dei passi. Nella fase di oscillazione esse sono determinate, essenzialmente, dalla forza contrattile dei flessori della coscia che sono i muscoli retto femorale, ileo psoas, tensore della fascia lata (i maggiori).

Nella fase di appoggio e di spinta, invece, sono determinate, prevalentemente, dagli estensori della coscia (muscolo grande gluteo) e del ginocchio (muscolo quadricipite femorale) e dai flessori plantari del piede (muscolo tricipite surale).

Ciò evidenzia il grande apporto che regala la corsa in salita, integrandola con variazioni si ottengono certamente armonie sopraffine.

da www.santuccirunning.it    -    richiedi ulteriori informazioni
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