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Riuscire ad unire l’elasticità con la potenza, rappresenta per l’atleta una grande conquista. La pulizia e l’efficacia dell’azione di corsa sono sinonimo di una corretta preparazione.
Facciamo alcune riflessioni per conoscere meglio come ricercare queste qualità.


ELASTICI E POTENTI

Credo che uno dei sogni del podista sia quello di riuscire ad essere elastico, reattivo e potente. Riuscire a sposare un insieme di qualità non è semplice e in alcuni casi ricercare un adattamento può andare in contrasto con la ricerca di un altro.

Miscelare un insieme di mezzi, se non è una scelta ben ponderata, può portare a distruggere un ciclo di lavoro. È quindi necessario capire quali esercitazioni sono giuste per ottenere un adattamento e poi come combinarle con altre sessioni d’allenamento.

L’elasticità è di certo una dote innata, ma con l’applicazione si possono riuscire ad ottenere ottimi risultati. Tutte le esercitazioni che fanno da corredo alla corsa, risultano fondamentali per cercare di tenere sempre pronta e sveglia la muscolatura.

Per ottenere il massimo profitto da una seduta orientata allo sviluppo dell’elasticità, bisogna che si inserisca in allenamenti leggeri, quelli in cui l’organismo lavora a basso regime. Questo perché se la muscolatura è stanca non dà risposte giuste e si può andare incontro ad infortuni muscolari ed articolari.

ESERCIZI TECNICI E ANDATURE

Le esercitazioni devono essere eseguite a ritmi non esasperati e l’azione bisogna che sia sotto controllo. Le percezioni sono l’elemento che fa da traino al tipo di seduta. Sentire i piedi a terra, ascoltare l’appoggio, capirlo e modificarlo secondo la tipologia di esercizio è un aspetto necessario da ricercare.

I vari tipi di andature esistenti, devono fare in modo che ogni atleta scelga quegli esercizi che più gli si addicono. Sarebbe bello essere alla stregua dei ginnasti, ma prima di tutto il podista dovrebbe essere inquadrato come tale. Ogni esercitazione parallela al semplice gesto della corsa può anche essere valida, ma senza andare a seminare in campi di tutt’altra pertinenza.

Dico questo perché non capisco l’insistenza in certe preparazioni verso elementi dissimili dal gesto della corsa. Gran parte del lavoro parallelo credo sia utile, a patto che sia legato e memorizzato al più presto con l’azione meccanica del podista. Sarebbe altrimenti come creare tesori, ma poi non essere mai in grado di metterci mano.

Il continuo seminare e raccogliere è una filosofia a mio parere molto utile. I vari periodi vanno chiusi, si raccoglie e si passa a quello successivo, ma è la continua rotazione dei mezzi a dare miglioramenti effettivi e duraturi. Anche sull’elasticità c’è da seguire questa strada, è bene tenerla sempre viva, e quando eventualmente si lascia è solo per dare maggior spazio ad altre sedute, ma con l’intento di andarla a ricercare entro poco tempo.

CORRERE CON FACILITA’

La fluidità della corsa, la decontrazione dell’azione, la precisione del gesto, la rapidità di esecuzione, la pulizia di corsa, la leggerezza, sono tutti termini usati che fotografano abbastanza bene le dinamiche del movimento della corsa. È una parola però che riassume meglio il tutto ed è: facilità.

Questa secondo me va ricercata senza fasciarsi la testa da mille indicazioni che vengono date. Il corpo ha misure precise e poco modificabili, è inutile cercare il bello ed efficace. L’efficienza va cercata appunto attraverso la facilità. Le intenzioni del tecnico dovrebbero essere concentrate proprio su tale particolare. Quando vi è facilità, ogni meccanismo che innesca resistenza alla normale azione di corsa viene a cadere.

Come si arriva quindi a correre facili? Non è facile si potrebbe dire…Ma lavorando si può quantomeno arrivarci molto vicino.

Le esercitazioni tecniche arrivano proprio a regalare queste nuove armonie, ma sarà il tatto del tecnico un buon consigliere per valutare gli esercizi migliori per ogni tipo di atleta.

Quando un gesto non riesce bene, si può di certo lavorare per migliorarlo, ma se proprio non viene “sentito” è bene passare oltre. Non ci sarà una giuria tecnica a valutare lo stile di corsa dell’atleta, ma sarà solo il cronometro a quantificare la prestazione.

Inutile essere belli e poco performanti. In chiave prestazione, varrà solo la produttività della meccanica.

BELLI E BRUTTI

Ricordo bene di aver visto campioni dallo stile pessimo, che però non avevano certo deficit nell’estrinsecare le proprie potenzialità. Ricordiamoci di John Ngugi, keniano, 5 volte Campione mondiale di cross e Olimpionico dei metri 5000. Il suo stile era approssimativo, ma aveva un’elasticità unita a potenza che in campestre non era evidente eppure era disarmante. I suoi piedi avevano un appoggio singolare, eppure oltre ai campi ha primeggiato anche in pista dove giocano un ruolo primario.

Se a lui fosse stato imposto un approccio stilisticamente diverso verso quali risultati sarebbe andato incontro? A questo certo non abbiamo risposta, ma sicuramente sappiamo che lui aveva un’ottima resa rapportata ai suoi equilibri. Sembrava talvolta macchinoso, ma il compasso della sua falcata si apriva in modo spontaneo, facile, naturale.

Certo abbiamo esempi opposti nel passato, Sebastian Coe e Wilson Kipketer, forse il migliore di sempre stilisticamente o in chiave italiana Stefano Mei e Gennaro Di Napoli che avevano delle meccaniche di corsa in cui la spontaneità del gesto era luce per gli occhi.

Andando nello specifico, possiamo affermare che i piedi di Gebrselassie rimangono unici e stratosferici.

L’atleta va studiato nel suo complesso per giudicare l’effettiva rispondenza della sua azione.

Il bello non sempre paga, anzi sovente è un limite economico. Mi capita a volte di dire ad un atleta che è troppo bello stilisticamente, bisogna guardare alla sostanza.

Se ci ricordiamo di Gelindo Bordin, ci viene subito in mente la sua estrema praticità. Nel corso degli anni si è radicalmente modificato fino ad arrivare ad essere uno dei più grandi interpreti della maratona.

Il campione veneto agli esordi aveva un gran motore, ma usava la sua forza in modo eccessivo, consumava troppo carburante per resistere a lungo.

Non è stato l’aumento dei km effettuati in allenamento a fargli fare il salto di qualità, semmai il contrario e cioè tanti km, ma nel rispetto di un’ottima “salute” muscolare.

La sua azione era tirata all’essenziale, concedeva poco allo spettacolo, ma era esempio di massima efficienza elastica. Movimenti asciutti, essenziali ma splendida reattività.

PIEDI E REATTIVITA’

I piedi, spesso trascurati, ricoprono un ruolo importante e fondamentale nella corsa. Se riescono ad essere efficienti, a supportare l’azione del corpo ed a trasferire velocità al suolo, la strada per ottimizzare la potenzialità è cosa fatta.

Per ottenere questo non bisogna trascurare in allenamento le esercitazioni che vanno a richiedere al piede un’azione rilevante.

Il piede va coinvolto, sollecitato, “usato”. Non parlo solo di esercizi di tecnica pura, ma anche di corse su terreni che ne richiedono un utilizzo vario ed articolato.

Da evitare in corsa è sicuramente un’azione eccessivamente balzellata che va ad incidere sul costo energetico senza pagare bene in termini di velocità.

Proprio per questo, secondo me è importante non esagerare verso esercitazioni che cercano in modo esasperato il concetto di esplosività, è semmai sulla rapidità che dovremmo concentrare le massime attenzioni.

Inoltre il rischio a cui porta l’esecuzione di alcuni esercizi è a livello di guardia. Ad esempio le scorpacciate di balzi sono da valutare con gran sensibilità. Il fondista non può fare preparazione da sprinter, quando non ne ha le caratteristiche né la base per poterla sostenere.

SCELTE PRECISE

Andare in tutte le direzioni è rischioso, l’arma in più è quella di variare il più possibile le tecniche in base al periodo della preparazione nel rispetto degli obiettivi che sono dati al singolo periodo.

È importante avere un’ottima efficienza elastica durante ogni periodo dell’anno, ma è la rotazione dei cicli a ravvivarla con richiami misti. Tanto più il corpo è preparato e semplice sarà ricercare la massima prontezza in risposta al suolo.

Quando un atleta va forte, ma visivamente non ne dà l’impressione, significa che è sulla strada giusta.

Queste sensazioni le ha provate certamente qualche volta ogni podista. Mi riferisco alle situazioni in cui sembra di non spingere a fondo e invece il cronometro indica che la velocità è molto buona. In pratica accade che pur imprimendo poca forza, si va veloci, proprio perchè si riesce a venir via dal terreno con estrema facilità.

Per ottenere questo bisogna essere al massimo dell’efficienza con gli arti inferiori.

LE SUPERFICI

Le corrette superfici da usare per fare la tecnica riguardano i terreni soffici che evitano impatti traumatici, ma al contempo devono essere manti compatti ed omogenei.

Il rischio di fare movimenti bruschi e fuori assetto può portare a problematiche di natura traumatica. Un bel prato come può essere quello di un campo da calcio o qualcosa che in qualche modo ne abbia caratteristiche simili, è senz’altro il luogo ideale dove svolgere tali sedute.

Ricordiamoci sempre che per poter ottenere le migliori prestazioni bisogna cercare la forma in tutti i segmenti del corpo. Raggiunto quest’obiettivo si può andare convinti alla ricerca dei propri limiti.

È ovvio che conseguita la massima condizione fisiologica, è la mente che dovrà coordinare al meglio tutte le risorse esistenti.

Ricordiamoci che l’allenamento sistematico, orientato in modo attento e capillare, dà sempre risposte concrete.

di Massimo Santucci

da www.santuccirunning.it    -    richiedi ulteriori informazioni
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