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di Luca Borelli


Chi di voi usa il cardiofrequenzimetro nella corsa? Ad oggi con l’avvento di orologi sempre più performanti che rilevano il battito direttamente dal polso penso la grande maggioranza usa il cardiofrequenzimetro senza neanche saperlo. Ma questa rilevazione è utile o ci può portare fuori strada?

Intanto vediamo velocemente cos’è un cardiofrequenzimetro.

E’ uno strumento che per mezzo di una fascia da applicare al petto o tramite sensori ottici posti sul lato inferiore della cassa dell’orologio riescono a rilevare la frequenza del battito cardiaco. Questo dato indica abbastanza precisamente il livello di sforzo a cui ci stiamo sottoponendo, infatti all’aumentare del numero di battiti per minuto corrisponde un aumento del carico fisico. Mentre corriamo la richiesta di sangue e con lui di ossigeno da parte dei muscoli aumenta.

Il cuore è una pompa che ad ogni battito “muove” una determinata quantità di sangue, va da se che con una richiesta maggiore, per sopperire, deve aumentare il numero di cicli nel tempo.

Un esempio può essere: se il nostro cuore ha una capacità di 400ml per ogni contrazione e noi abbiamo bisogno di 20litri minuto per le nostre attività il cuore dovrà battere circa a 50 pulsazioni minuto.

Molti testi fanno riferimento alla percentuale della frequenza massima a cui dobbiamo eseguire i vari lavori: fondo lento, medio, corto veloce o prove ripetute. Prendere come riferimento per i propri lavori la frequenza cardiaca, per chi è un corridore ben allenato e ha bisogno di stimoli molto precisi, è forviante. Infatti il cuore ha una sorta di ritardo nell’arrivare alla frequenza utile per quel tipo di sforzo.

La frequenza di steady state (frequenza a cui si ha un equilibrio) è caratteristica della corsa a velocità costante, ma nei primi minuti c’è una continua regolazione, da parte del sistema nervoso, per arrivare a soddisfare in maniera sufficiente la richiesta, è proprio questa prima parte che ci può portare fuori strada accelerando fuori misura per arrivare al più presto alla frequenza obbiettivo.

Il problema si amplifica al diminuire della lunghezza/durata della prova. Se consideriamo ripetute su i mille, corse a una frequenza obbiettivo del 95/97% di quella massima e sappiamo che i primi uno due minuti sono di adattamento, per un atleta di buon livello che corre questa tipologia di prova sotto i 4 minuti va da se che l’errore è grossolano. La situazione peggiore l’abbiamo in lavori come le ripetute brevi in salita, dove la nostra prova è caratterizzata, a volte, da una “fucilata” di soli 50/60 metri.

Mentre corriamo un medio di vari km il problema potrebbe essere trascurabile. Attendendo i primi minuti di assestamento ne mancano sempre molti alla fine della prova e potremmo seguire il riferimento cardiaco trascurando la prima parte, ma qui subentra un altro problema, quello dell’effetto deriva del cuore.

L’effetto deriva è un fenomeno che si presenta con sforzi costanti protratti nel tempo. Infatti in questi casi, vuoi la stanchezza muscolare, e quindi la messa in fuori uso di alcune fibre, vuoi la perdita di sali e liquidi che diminuiscono la performance il cuore tende a aumentare il proprio numero di battiti. Quindi seguendo il cuore col passare dei km tenderemo a diminuire la nostra velocità.

Questo fenomeno si manifesta anche nei recuperi tra le prove. Al passare del numero di prove la frequenza di recupero sarà sempre più alta a parità di tempo, quindi anche qui se parametrizziamo il recupero a un valore di frequenza cardiaca non eseguiremo mai il solito recupero andando a perdere in alcuni casi il vero e proprio effetto allenante.

Inoltre un fattore non trascurabile è sapere con precisione quale è la nostra reale frequenza cardiaca massima. Sappiamo bene che la classica formula 220-l’età non è molto precisa e corrisponde a una media sulla popolazione. Senza un adeguato test massimale probabilmente non conosceremo mai il nostro reale valore. La cosa si complica col passare del tempo, perché in media si perde un battito cardiaco ogni anno e anche questo è un valore medio che ci porta inevitabilmente a commettere alcuni errori.


Conclusioni: per atleti ben allenati è sempre preferibile controllare i propri allenamenti tramite la velocità e non tramite le pulsazioni. La frequenza cardiaca si può monitorare, ma post allenamento, per capire se lo stimolo sia stato dimensionato bene.

Il cardiofrequenzimetro potrebbe essere utile per eseguire dei test (es. test di conconi), a monitorare la frequenza a riposo la mattina appena svegli, per capire lo stato di affaticamento, e a chi è alle prime uscite per regolare lo sforzo, imparare a conoscere le varie sensazioni alle varie velocità (respirazione regolare, fiatone, ecc.) e per cercare di non strafare. Anche qui dopo alcuni mesi dove emergeranno i vari valori in campo, ci tornerà utile, utilizzare come riferimento l’andatura e non la frequenza cardiaca.

Buone corse
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